Ansia. Ovvero: come si sopravvive?!
di Clara Curtotti
L’ansia è un “sintomo” del mondo che abitiamo, in particolare delle società occidentali, che si alimentano di stress, di frenetici ritmi produttivi, di “idola” di baconiana memoria, a scapito della dimensione più riflessiva e contemplativa dell’esistenza.
L’inspirazione che ha dato vita a questo breve articolo nasce dal confronto costante con chi soffre, per varie e con alterne vicende, di quel disagio specifico che prende comunemente il nome di “ansia” e che si manifesta con una serie caratteristica di sintomi:
- Psicologici: la paura di morire, di impazzire, di perdere il controllo, le fobie, ecc;
- Fisiologici: per l’aumento dell’adrenalina in circolo, la tachicardia, le palpitazioni, la sudorazione, i tremori e talvolta gli svenimenti;
- Comportamentali: le condotte di evitamento, di fuga, di immobilizzazione (freezing), o le reazioni eccessive a stimoli innocui.
Chi soffre di ansia conosce bene tale sintomatologia e quanto le variabili sopra descritte concorrano tutte insieme a creare una certa visione del mondo di cui si finisce, volenti o nolenti, col diventare prigionieri.
Una definizione dell’ansia di tipica matrice cognitivista suona così:
“L’apprensione innescata da una minaccia a qualche valore o scopo che l’individuo ritiene essenziale alla sua esistenza. La minaccia può essere alla vita fisica (per es. la minaccia di morte o di malattia) o all’esistenza psicologica (perdita di libertà o di sicurezza) oppure la minaccia può essere diretta a qualche altro valore che il soggetto identifica come prioritario nella propria esistenza (il patriottismo, il successo, l’amore per un’altra persona, ecc..)…”(Francesco Mancini)
Una formula che ben riassume l’implicazione di alcune significative variabili connesse all’esperienza è:
ANSIA = Imminenza percepita X probabilità percepita X gravità percepita Capacità di fronteggiarla + disponibilità percepita di aiuto esterno
L’ansia inoltre, come costrutto non solo psicologico ma quasi “etologico”, è un meccanismo difensivo incredibilmente potente, programmato per affrontare le situazioni di pericolo. Tale tipo di ansia è definibile “normale” e “non patologica”.
L’ansia patologica invece si connota come una risposta “esagerata” rispetto al suo oggetto, e cioè rispetto alla “reale” pericolosità dell’oggetto (situazioni, persone, oggetti, ecc.) che la scatena.
Tuttavia, come è oramai ben noto, la funzione adattiva-difensiva dell’ansia si esplica solo entro livelli di attivazione emozionale ottimali, e cioè non troppo alti ne troppo bassi. Fuori da questo range possono esserci serie problematiche psicologiche.
Solo per arricchire la panoramica di ulteriori elementi di conoscenza, desunti dalla ricerca, ecco di seguito illustrati alcuni meccanismi di aggravamento dell’ansia legati prevalentemente al fenomeno, maggiormente studiati in ambito cognitivista:
- “Better safe than sorry”: meccanismo prudenziale che modula come noi valutiamo le situazioni di pericolo e sicurezza;
- Le correlazioni illusorie: le persone in ansia tendono ad attribuire a stimoli neutri proprietà nocive;
- Attenzione e memoria selettive: se ho paura di qualcosa la mia memoria e la mia attenzione selezioneranno percettivamente le informazioni in entrata coerentemente con essa;
- Euristica della disponibilità: se mi sento minacciato da qualcosa tenderò a tenerlo bene in mente (Kaneman)
Altri meccanismi invece legati alle emozioni sono:
- Priming Effect: se induciamo un’emozione artificialmente la persona ha funzioni cognitive congrue all’emozione che sta provando.
- Ragionamento emozionale: affect as information, ossia prendere la presenza dell’ansia come prova della realtà della minaccia (Beck).
- Anxiety sensitivity: ritenere che le sensazioni connesse all’ansia siano la causa della perdita del controllo, della morte o comunque siano il predittore degli attacchi di panico.
Infine quelli legati al comportamento:
- Evitamenti: ad esempio prevenire la disconferma delle aspettative più negative
- Comportamenti di ricerca di sicurezza anche legati a circoli viziosi di interdipendenza.
Le teorie cognitiviste, soprattutto nell’ambito dell’approccio razionalista sottolineano, Beck (1985) e Clark (1986), l’importanza dell’interpretazione catastrofica di sensazioni di tipo somatico come momento fondamentale dello scatenamento delle crisi. Wells (1990) propone un modello modificato di Clark secondo il quale ogni stimolo, esterno o interno, che è giudicato minaccioso, produce ansia; questa a sua volta induce vari sintomi, somatici e cognitivi, che vengono interpretati dal soggetto in modo catastrofico, contribuendo così ad alimentare ulteriormente lo stato d’ansia, ed instaurando un circolo vizioso autoperpetuantesi.
Di seguito il modello cognitivo del disturbo di panico (Clark 1986) modificato, con aggiunta del ciclo di mantenimento (Wells, 1990)
TECNICHE DI INTERVENTO PER L’ANSIA
Coerentemente con le premesse teoriche di cui sopra la “ricetta” cognitivista d’intervento per l’ansia, in sintesi, è finalizzata ad intervenire su gli ingredienti cognitivi della formula precedentemente accennata, sul padroneggiamento delle emozioni e la modificazione dei comportamenti.
Le tecniche principali utilizzate sono:
LA RIDUZIONE DEI MECCANISMI DI AGGRAVAMENTO E MANTENIMENTO:
Si cerca cioè di modificare la gravità percepita dell’evento, defocalizzare e contrastare l’incertezza.
ACCETTAZIONE DELLA MINACCIA:
Cioè insegnare alla persona come fronteggiare l’evento o a chiedere aiuto.
LA RIDUZIONE DEI CIRCOLI INTERPERSONALI NEGATIVI CHE SPESSO O QUASI SEMPRE SOSTENGONO LA SINTOMTOLOGIA DELL’ANSIA:
Si intende quelle relazioni e dinamiche relazionali che coinvolgono altre persone nella vita del paziente.
LA RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA
Obiettivo di questa tecnica, attraverso l’analisi delle cognizioni del soggetto in riferimento ad un evento insieme con le conseguenti reazioni emotive e comportamentali, è condurre alla modificazione di quelle convinzioni disfunzionali, più o meno consapevoli, che condizionano la visione del mondo esterno e di sé stessi.